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giovedì 21 novembre 2024

Gli attacchi dei guerriglieri Houti nello stretto di Bāb El - Mandeb: Quadro geopolitico e aspetti giuridici dell'operazione “ASPIDES”



La crisi israelo-palestinese e il quadro di riferimento regionale Il conflitto tra Israele e Hamas si colloca geograficamente in un ristretto fazzoletto di terra che si affaccia sul Mediterraneo, ma comporta potenziali ripercussioni su un’area decisamente più ampia, molto eterogenea dal punto di vista etnico, linguistico e religioso: il Medio Oriente. Storicamente, gli scontri tra le due citate fazioni, che malvolentieri coesistono nella medesima area, hanno seguito un andamento altalenante, con periodi più o meno tesi ed eventi a carattere episodico caratterizzati da uno schema piuttosto basilare: attacco-risposta-tregua e ritorno allo status quo. In questo modo la rivalità si è protratta per anni, senza che si sia mai veramente riusciti a stabilire delle regole di convivenza condivise ed accettate dalle parti. Gli eventi scabrosi del fatidico 7 ottobre scorso, tuttavia, hanno segnato una frattura talmente importante nelle relazioni tra le due parti da rappresentare un momento di profonda rottura rispetto alla desolante ma consolidata prassi, scoperchiando un pericoloso “calderone” in cui da tempi lontani ribollono rabbia, rancore, risentimento e dando vita a una guerra che presenta tanti lati oscuri, che sta dilaniando un territorio già gravato da anni di sofferenze e che si sta pericolosamente allargando a macchia d’olio nell’intera regione. Il puzzle geopolitico del Medio Oriente, infatti, storicamente intricato e frammentato, si sta coagulando e clusterizzando intorno alle due fazioni contrapposte, rischiando di tramutare un conflitto locale in uno scontro di ben più ampio respiro. L’appoggio e il sostegno economico e militare americano ad Israele e la volontà di quest’ultimo di liberarsi una volta e per tutte dalla minaccia posta da Hamas, hanno automaticamente innescato una reazione a catena da parte di altri attori, portatori di interessi contrapposti a quelli dello stato ebraico, primo tra tutti l’Iran, potenza regionale, baluardo sciita nella penisola araba e nemico ontologico dei Paesi arabi del Golfo, storicamente sunniti. La repubblica islamica dell’Iran, nata dopo la rivoluzione del 1979, non riconosce la legittimità di Israele, con cui ha interrotto ogni relazione diplomatica. Emerge quindi un quadro molto complesso di attori e di interessi differenti, contaminato da forti ideologie e pericolosamente trascinato sull’orlo dell’implosione dall’azione spregiudicata di una galassia di organizzazioni terroristiche e gruppi di guerriglieri che, da un lato e dall’altro, conducono le c.d. “guerre per procura”. Ai gruppi salafiti e jihadisti anti-sciiti e votati all’eliminazione della pluralità identitaria e religiosa del Medio Oriente a favore della propria narrativa islamico-radicale si contrappone la postura aggressiva delle organizzazioni vicine alla potenza persiana, tra cui Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen. Tuttavia, tali movimenti vicini alla causa sciita, forniscono opportunisticamente in questa fase contingente supporto ad Hamas e allo Jihad islamico palestinese (Jip) – movimenti sunniti e fondamentalisti – in chiave anti-Israele. Ciò che rende ancor di più incandescente la situazione, però, è il fatto che gli Houthi hanno il loro quartier generale in Yemen, Paese di cruciale importanza geopolitica per il fatto, tra l’altro, che si affaccia sullo stretto di Bāb el-Mandeb che, per ironia del distino si traduce in italiano con “porta del lamento funebre”. Si tratta di un canale con una grandezza minima di appena 30 km che, per importanza strategica, si colloca tra i primissimi posti nella classifica dei “choke point” più controllati al mondo. L’espressione che letteralmente significa “collo di bottiglia”, fa riferimento a passaggi di mare stretti e obbligati in cui le navi devono passare per potersi spostare tra mari e oceani diversi. Chi li controlla, controlla il commercio globale. Ed è proprio su questo stretto che, negli ultimi mesi, si stanno consumando una serie di attacchi da parte dei guerriglieri Houthi ai danni di mercantili civili in transito, in segno di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese e quale rappresaglia per costringere la comunità internazionale ad intervenire per far desistere Israele dalla sua azione militare ai danni di Hamas. Il mondo sciita non vuole la vittoria schiacciante di Israele a Gaza, né può tollerare che Israele esca rafforzato da questo conflitto. Gli attacchi ai mercantili nello stretto di Bāb el-mandeb Il termine Houthi fa riferimento al movimento “Ansar Allah” – dall’arabo “partigiani di Dio” - che identifica un gruppo armato e politico dell’estremo nord dello Yemen, composto principalmente da combattenti della confessione zaydita, una branca minoritaria dell’islam sciita . Il gruppo armato nasce inizialmente in contrapposizione al regime di Ali Abdallah Saleh, presidente e dittatore dello Yemen dal 1990 al 2012, manifestando posizioni marcatamente anti-USA e anti-Israele, soprattutto dopo l’invasione americana del 2003 in Iraq. Al tentativo di repressione del movimento da parte del governo in carica segue una vera e propria rivolta degli Houthi (“le guerre Sa’da”), proseguita dal 2004 a fasi alterne fino a un debole cessate il fuoco nel 2010. Dal 2011, sulla scia delle primavere arabe, gli Houthi promuovono sommosse e lotta armata in tutto il Paese giungendo di fatto a prendere il controllo di importanti aree dello Yemen dove, dal 2014 circa, inizia a cristallizzarsi uno scenario politico-militare bipolare: da una parte gli Houthi sostenuti dall’Iran, paese guida dei movimenti politico-militari sciiti, dall’altra il governo riconosciuto dalla comunità internazionale spalleggiato, in modo istituzionalizzato a partire dal 2015, da una Coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita. Nel 2015, gli Houthi sbaragliano i filogovernativi e prendono con la forza i palazzi del potere. Dall’ottobre del 2023, per venire all’attualità, il movimento ha iniziato a perpetrare una serie di attacchi con droni armati e missili alle navi cargo nello stretto di Bāb el-Mandeb che separa lo Yemen dall’Africa orientale – e rappresenta la porta di accesso delle navi nel Mar Rosso e nel Canale di Suez. Ufficialmente in segno di solidarietà nei confronti dei palestinesi e quale ritorsione verso la campagna terrestre nella striscia di Gaza da parte di Israele. Tali attacchi, non particolarmente significativi da un punto di vista prettamente militare, hanno tuttavia avuto una risonanza mediatica enorme portando fama internazionale al movimento, a causa degli effetti dirompenti della loro azione ostile sul commercio internazionale. Sulla rotta Bāb el-Mandeb-Suez, che è parte anche della “Belt&Road Initiative” cinese e che collega l’Asia al Mediterraneo e, attraverso Gibilterra, alla costa atlantica sia europea sia nord americana, viaggiano circa 26 mila navi all’anno, ossia circa il 12% delle merci e il 30% dei container a livello globale . In termini energetici il canale rappresenta il 10% dei prodotti petroliferi raffinati, l’8% del Gas Naturale Liquefatto e il 5% del greggio. Inoltre, lo stretto registra il transito annuo del 14,6% dell’import mondiale dei prodotti cerealicoli e del 14,5% dell’import mondiale dei fertilizzanti agricoli. Se si osservano i dati riferiti specificatamente all’Italia, poi, la situazione appare particolarmente preoccupante in quanto per Suez transita il 40% circa dell’import/export marittimo nazionale, per un totale di 154 Mld€/anno . Il timore degli attacchi e l’alto indice di pericolosità delle acque in questione hanno avuto ripercussioni immediate e dirompenti sul flusso mercantile nel canale. Diverse compagnie di navigazione, infatti, (per non parlare delle navi da crociera) ordinano ogni giorno alle proprie navi di non entrare nello stretto di Bab el-Mandab stante l’attuale scarso livello securitario, preferendo piuttosto la più dispendiosa rotta che lambisce Capo di Buona Speranza, a sud del continente Africano. La circumnavigazione dell’Africa, tuttavia, comporta un allungamento dei tempi e dei costi del trasporto, con conseguenze inevitabili sul mercato dei beni trasportati (l’ISPI stima che gli attuali maggiori costi di trasporto potrebbero far aumentare i prezzi generali in Europa del +1,8% entro 12 mesi), sui livelli di inflazione e sulle supply chain industriali. Se si considera ad esempio il viaggio di una tanker dal Golfo Persico in Europa, ad una velocità media di 12.5 nodi, si registrano: un aumento del 120% delle miglia nautiche rispetto alla rotta di Suez (11.140 Nm Vs 5.020 Nm), un incremento del tempo necessario (39 giorni, anziché 18), un aumento del costo del bunker (ossia del combustibile per le navi) da 0.54 M€ a 1.20 M€ . Ma cambiare rotta significa anche, da una prospettiva nazionale, una perdita di centralità del Mediterraneo, un minor traffico nei nostri porti con ripercussioni notevoli in termini di posizionamento, indotto e lavoro. Secondo i dati ISPI, da fine dicembre i traffici commerciali nazionali hanno fatto segnare una riduzione superiore al 20% e, in particolare, una riduzione delle consegne di gas qatarino del 70% rispetto alla media del 2023. Ciò è evidentemente collegato alla riduzione dei transiti giornalieri nel canale egiziano che, tra il 28 dicembre e il 1° gennaio ha registrato un calo del 38% rispetto alla media della prima metà del mese di dicembre 2023. Analizzando le navi per tipologia, i transiti di portacontainer sono diminuiti del 72%, quelli di GPL del 60%, di autovetture del 49% e di metaniere del 35%. A rendere ancora più preoccupante il quadro, sono gli effetti c.d. di secondo tempo: le assicurazioni marittime sono lievitate negli ultimi mesi e, secondo i dati riportati dal “Drewry Container Index”, i noli container FEU (ossia da 40 piedi) sulla tratta Shanghai-Genova sono aumentati dall’11 gennaio 2023 all’11 gennaio 2024 dell’85%. Si intuisce bene, a tal proposito, il motivo per cui l’allarme causato dagli attacchi ai mercantili stia risuonando in maniera così importante e perché i leader dei principali Paesi Occidentali si stiano adoperando per trovare, con estrema urgenza una soluzione. La missione Europea ASPIDES L’articolo 44 del Trattato sull'Unione europea (TUE) prevede che il Consiglio Europeo possa affidare una missione ad un gruppo di Stati membri che vogliano prendervi parte e che la gestiscono insieme all'Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. A tal proposito, il 19 febbraio scorso i Ministri degli Esteri dell'Unione Europea, in occasione del Consiglio Affari Esteri, hanno approvato il lancio della missione “Aspides” (dal greco antico “scudo, difesa”) per ripristinare la sicurezza marittima nel Mar Rosso e nella parte settentrionale dell'Oceano Indiano, assicurando la libertà di navigazione. La missione, della durata di un anno (estendibile previa decisione del Consiglio UE), è stata approvata – allo stato attuale – da Francia, Germania e Grecia (ma è aperta all’ingresso di altri Paesi che volessero contribuire) e prevede lo schieramento di quattro navi, oltre ad un pattugliamento aereo. La sede del comando Strategico è previsto a Larissa in Grecia (punto strategico non lontano dal Mar Rosso) mentre il Comando Operativo imbarcato (ossia l’autorità di assegnare compiti e di coordinare l’attività delle Forze schierate, nell’ambito della missione assegnata e non modificabile) è stato attribuito all’Italia che esprime il Force Commander. Le regole di ingaggio della missione prevedono la possibilità di aprire il fuoco per scopo difensivo (non è infatti contemplata la possibilità di attacchi sul territorio yemenita), ossia per proteggere l’incolumità degli equipaggi schierati e delle navi civili in transito nel delicato tratto di mare, proprio come recentemente accaduto ad opera dell’equipaggio del Cacciatorpediniere italiano Caio Duilio (su cui è imbarcato il Force Commander italiano) che ha ingaggiato e distrutto un drone che approcciava con atteggiamento ostile. Al momento nell'area che lambisce il golfo di Aden vi sono altre missioni in corso. La prima è l'Operazione Atalanta, con cui Aspides mantiene uno stretto coordinamento: istituita nel 2008 è finalizzata a proteggere il Programma Alimentare Mondiale (PAM) e altre imbarcazioni vulnerabili; dissuadere, prevenire e reprimere la pirateria e le rapine a mano armata in mare; monitorare le attività di pesca nel Corno d'Africa e nell'Oceano Indiano occidentale; combattere il traffico di droga e contribuire all'embargo sulle armi in Somalia, al commercio illecito di carbone di legna e alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN). Dall’11 febbraio u.s. tale operazione vede l’Italia al comando con Il C.A. Saladino che esercita le funzioni di Force Commander a bordo della fregata Martinengo (fino a giugno 2024). La seconda operazione è la Emasoh/Agenor, nata su iniziativa francese, attiva nello Stretto di Hormuz, tra la Penisola arabica e l'Iran e con un comando operativo ad Abu Dhabi. Tale operazione sarà verosimilmente assorbita dalla missione Aspides. Vi è, inoltre, l’operazione Prosperity Guardian che vede lo schieramento di una Task Force a lead USA, con la partecipazione della Gran Bretagna, finalizzata alla difesa della libera circolazione dei mercantili nella delicata area del Mar Rosso, ma con un mandato più spinto, che prevede anche la possibilità di attaccare le basi di lancio sul territorio yemenita (come peraltro già avvenuto).