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Era nell’aria da qualche giorno e alla fine Israele ha dato il via ad un’invasione terrestre “limitata” nel sud del Libano. Le forze armate israeliane (IDF) – come riportato anche dal portavoce del dipartimento di Stato americano Matthew Miller – hanno effettuato raid mirati contro obiettivi di Hezbollah nelle aree di confine tra i due Paesi, utilizzando sia i caccia dell’Aeronautica sia l’artiglieria. In particolare, le Forze di difesa israeliane avrebbero dichiarato "zona militare chiusa" le aree di Metula, Misgav Am e Kfar Giladi, situate sul confine appunto, fino a domenica 6 ottobre, interdicendone il passaggio, con l’obiettivo di colpire con raid mirati quei villaggi libanesi che rappresentano, stando alle dichiarazioni degli alti Ufficiali israeliani, una “minaccia immediata” per le comunità israeliane situate nel nord del Paese. Chiaramente la partita è ben più ampia e coinvolge pericolosamente altri attori dell’area mediorientale, primo tra tutti l’Iran. Dopo gli ultimi giorni molto concitati e complessi dal punto di vista della politica interna, con alcune fazione più predisposte alla linea dura con Israele e altre più propense ad una soluzione che conduca alla de-escalation, ha prevalso – purtroppo – la linea dell’interventismo, con un allargamento del conflitto. Teheran, infatti, nella serata del 1 ottobre 2024 dichiara lo stato di guerra e lancia contro Israele un’ondata di missili – molti dei quali balistici – oltre che droni, facendo sapere per bocca dei Pasdaran che l’attacco rappresenta "una rappresaglia per diversi omicidi compiuti dal nemico sionista", citando, oltre al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ucciso a Beirut la settimana scorsa, anche il capo dell'ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran il 31 luglio scorso. L’uccisione e il ferimento di centinaia di militanti di Hezbollah per mezzo dell’esplosione dei cercapersone, tra cui l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani e l’assassinio del capo del “partito di Dio” libanese, avevano evidentemente suscitato troppo clamore per poter passare sottotraccia. Molti dei missili partiti da Iran e Siria sono stati intercettati, anche grazie al contributo di Giordania e delle forze militari Anglo-americane nell’area e la voce israeliana non si è fatta attendere con il portavoce dell'esercito ebraico Daniel Hagari che, ad alcune ore dall’attacco, ha dichiarato che “ci saranno conseguenze” e che esistono già piani ben definiti per agire nel momento e nel luogo che sarà ritenuto più opportuno. Intanto l’opinione pubblica in vari Paesi del mondo si divide tra coloro, come la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, che sostengono che Israele abbia tutto il diritto di difendersi da Hezbollah e dai gruppi paramilitari sostenuti dall’Iran e, dall’altro, coloro che accusano Netanyahu di aver perso il senso della misura, ritenendo oltre ogni limite la decisione del governo israeliano di procedere militarmente compiendo raid e incursioni in un Paese sovrano, quale è il Libano. Non va infatti dimenticato che, seppur con motivazioni da molti ritenute legittime, Israele ha lanciato un attacco aereo con bombe ad altissimo potenziale esplosivo (da prime indiscrezioni si tratterebbe di bombe anti-bunker GBU-28, oltre che bombe Mark-84) disintegrando ben 6 edifici nella periferia sud di Beirut, con l’obiettivo di uccidere il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, il quale era in una riunione segreta con altri alti funzionari e Comandanti della milizia, proprio all’interno di un profondo rifugio sotto svariati metri di cemento, in uno di questi palazzi. A preoccupare particolarmente il governo e i cittadini italiani, oltre che la delicatissima situazione securitaria dell’intera area, sempre più una polveriera sull’orlo di esplodere e di generare una pericolosissima escalation a livello internazionale – è solo questione di tempo e Israele risponderà all’attacco iraniano – , è il fatto che in Libano opera un contingente di circa 1200 uomini e donne con il basco blu dell’ONU, impegnati nella missione UNIFIL. Si tratta di un’operazione istituita a seguito della “Risoluzione Onu numero 1701”, frutto di un faticoso compromesso raggiunto nel 2006 dalle Nazioni Unite per porre fine alle ostilità tra Israele e le milizie di Hezbollah che da anni, appunto, hanno stabilito nel Paese dei Cedri numerosi basi operative dalle quali colpiscono lo Stato ebraico, in un’estenuante guerra di logoramento. La risoluzione istituisce una zona c.d. «cuscinetto» delimitata dalla nota “Blue line”: si tratta di una fascia di sicurezza della profondità di circo 60 chilometri a nord del confine Israele-Libano che si estende fino al fiume Litani. In questa zona, pensata per tenere lontane fisicamente le parti in conflitto, tale risoluzione ha previsto lo schieramento di una forza di interposizione dell'Onu - denominata appunto “Unifil” (United Nation Interim Force in Lebanon) - forte di oltre 10.000 uomini, che vede un’importante contributo della Difesa italiana con un contingente permanente, di livello Brigata, composto da circa 1.200 miliari, a cui è assegnato il settore occidentale della zona cuscinetto, affacciato sul mare. Il compito dei militari, appartenenti in questo preciso frangente alla Brigata Sassari, stando ai dettami della risoluzione, è quello di «Monitorare la cessazione delle ostilità; sostenere la Lebanese Armed Force (LAF) nel suo ridispiegamento nel sud del Paese; coordinare il ritiro dell'IDF dalle zone occupate; assicurare un corridoio umanitario alla popolazione civile e il rientro in sicurezza degli sfollati; mantenere tra la Blue Line e il fiume Litani una area libera da personale armato; imporre il disarmo a tutti i gruppi armati all'infuori della LAF; impedire il commercio di armi e connessi materiali tranne quelli autorizzati dal Governo; assicurare che l'area di operazioni non sia utilizzata per azioni ostili di ogni tipo; reagire con la forza a tentativi di impedire l'assolvimento del proprio compito sotto il mandato del Consiglio di Sicurezza”. Una missione che, come si intuisce, risultava già particolarmente complessa prima, con continue scaramucce tra le parti e che oggi è quanto mai sotto attenta osservazione. Il Governo, infatti, monitora attentamente la situazione e si dice pronto a soluzioni anche drastiche, come il ritiro del personale in patria, qualora la situazione dovesse ulteriormente degenerare e la missione del personale di UNIFIL si ritenesse non più assolvibile. Va in tal senso la dichiarazione del Presidente del Consiglio che ha recentemente dichiarato: «Sto seguendo da vicino la drammatica situazione in Libano in contatto costante con i ministri della Difesa e degli Esteri. La protezione dei civili resta la priorità così come garantire la sicurezza dei militari del contingente italiano di UNIFIL presenti nel sud del Libano».